Proprio stamattina,
di ritorno dall'ennesimo “giretto” in ospedale, alla mamma, mia
unica memoria storica, è venuto in mente che oggi si celebra il rito
della ”seriola” meglio noto come Candelora.
Alle mie richieste di
spiegazioni ha bonfochiato che non si ricordava bene, che riguardava
la benedizione alle candele e che c'era un detto popolare collegato
alla festa.
(Al dì della seriola dall'inverno semo fora, ma che sia
nuvolo o che sia seren per quaranta dì ancora ghinavem)
Non ci credevo, mi
pareva una cosa strana e appena ho potuto sono andata in cerca di
notizie.
La parola Candelora
deriva dal latino festum candelarum e va messa in relazione
con l'usanza di benedire le candele (o meglio i ceri da dove deriva
il nostro “seriola”), prima di accenderle e portarle in
processione. I ceri vengono conservati nelle abitazioni dei fedeli
per essere riutilizzati, come accadeva in passato, per ingraziarsi le
divinità durante calamità meteorologiche o nell'attesa del
ritorno di qualcuno momentaneamente assente, o infine, come accade
ancora, in segno di devozione cristiana.
Da piccola ho passato
la mia infanzia con la nonna, ma non ho ricordi di questo rito;
francamente non ricordo nemmeno di processioni o altro; mia nonna,
quando c'era brutto tempo con grossi chicchi di grandine, era solita
salire in soffitta dove conservava l'ulivo benedetto delle palme,
prenderne alcune foglie, scendere in cucina, dargli fuoco e poi
gettarle dalla finestra aperta recitando una preghiera perchè il
buon Dio preservasse i raccolti dei campi.
E sarà un caso, ma
ogni volta, la grandine cessava.
E da piccola mi
pareva un rito magico.
Ma non sarà che nel
tempo necessario per fare tutta la trafila la grandine sarebbe
cessata comunque? Ma perchè la nonna non usava le candele benedette
della ceriola?
In che cosa voglio
credere: nei ricordi o nella razionalità?
In ogni caso stasera,
al ritorno a casa, lascerò bruciare la mia “seriola” sul
balcone.
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