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martedì 30 agosto 2011

E' ancora virus del collezionista

Al grido di “Birra e sai che cosa bevi”, di vecchia memoria, del lontano 1982, campagna di AssoBirra con Renzo Arbore come testimonial, il mondo della birra è per il collezionista un pozzo di San Patrizio: infatti c'è chi colleziona bicchieri piuttosto particolari per forma e logo, chi tappi a corona, chi lattine piene o vuote, chi insegne pubblicitarie e/o vassoi realizzati con intento promozionale della varie case produttrici di birra. Inoltre, come ho potuto constatare da un commento lasciato al mio post su “Contagiati dal virus del collezionista” c'è chi colleziona sottobicchieri di cartone.



Certo sono sicuramente la collezione più economica, dato che vengono usati proprio in tutti gli esercizi pubblici; sono leggeri, poco ingombranti e molto accattivanti in quanto ai colori, ma non pensavo fossero una collezione così diffusa.

Dal sito de “Il Curioso”, che vi ho già invitato in un post precedente a consultare, raccolgo il contributo di Fulvio Nessi e Maurizio Pion sulla storia dei sottobicchieri il cui brevetto risale ad un certo Robert Sputh di Dresda che nel 1892 lanciò sul mercato il primo sottobicchiere di cartone, realizzato per ovviare al problema della schiuma in eccesso che tracimava dai boccali sui tavoli creando una patina collosa e appiccicosa.
L'invenzione ebbe un enorme successo, intuendo subito le potenzialità del cartoncino che, oltre ad assolvere alla sua funzione di assorbente, poteva essere utilizzato come mezzo pubblicitario con la stampa del marchio della birreria.
Diffusosi in Europa, circa dieci anni dopo il sottobicchiere raggiunse il Regno Unito e dopo quindici gli Stati Uniti dando così origine a un fenomeno di carattere universale capace di indurre una prima forma di collezionismo.

Per chi fosse interessato a tutta la storia dei sottobicchieri, trovo molto completo il sito de “Il Barattolo – Associazione di collezionismo birrario” che parla della storia, ma anche delle collezioni di sottobicchieri. Il Barattolo pubblica ogni due mesi un notiziario, pieno di notizie sul mondo del collezionismo birrario, con tutte le novità italiane, cataloghi, articoli sulle birrerie del passato ed annunci dei soci.

E' importante, a questo punto, per chi si vuole cimentare, avere alcune dritte, soprattutto su come si possono conservare e catalogare i sottobicchieri, cosa che rappresenta, per i collezionisti, il problema maggiore.
Ci viene in aiuto Gianluca Lombardi di Firenze, collezionista dal 1983, che può contare su oltre 30.000 pezzi, che ci regala interessanti suggerimenti che vi riassumo:
quando la collezione si allarga, i sottobicchieri vanno riposti in scatole, come fossero schede di uno schedario, ordinandoli verticalmente; è importante che le scatole abbiano un coperchio che chiuda bene per non far entrare la polvere che macchierebbe i bordi dei sottobicchieri; agli appassionati di bricolage si suggerisce di adottare delle scatole in legno o addirittura di adattare dei mobili come cassettoni o schedari da ufficio.
Chi preferisce utilizzare gli album, può acquistare i normali raccoglitori ad anelli da ufficio, anche se non ne esistono di specifici per sottobicchieri, ma ci sono pagine a tasche preparate per altri tipi di collezione (portacartoline o portafoto) che, purtroppo, con il fondo opaco non consentono la visibilità dell'altro lato del sottobicchiere.
Si possono sempre utilizzare le normali pagine di plastica trasparente usate per i documenti dell'ufficio, in associazione a punti di spillatrice; in tal caso la posizione del sottobicchiere deve essere definitiva perchè è impossibile togliere i sottobicchieri senza sciupare la pagina.

Una veloce ricognizione in rete mi porta a suggerirvi anche:

Mondobirra ricco di notizie dal mondo birrario

Collezione di sottobicchieri e altro
curato da Marco, specializzato nei sottobicchieri italiani, alla ricerca di possibili acquisti e scambi e disponibile ad elargire consigli ai neofiti

Dato che, grazie al fenomeno del collezionismo, anche i sottobicchieri e non solo hanno un loro mercato, si può fare riferimento, tanto per avere un'idea a:
http://www.collezione-online.it/collezione_sottobicchieri_birra_accessori.htm

Tra gli altri suggerisco anche Colnect
che funziona come un catalogo che comprende articoli da collezionare, creato con wiki da collezionisti collaboratori; consente di gestire più facilmente la propria collezione poiché i collezionisti possono creare proprie liste di cambi e mancoliste utilizzando il catalogo e coordinare facilmente uno scambio con altri collezionisti impossibilitati ad incontrarli personalmente.

Per quanto riguarda i criteri di catalogazione, questi sono tra i più vari e devono sempre rispondere a ciò che desidera il collezionista:possono essere per continenti e/o nazioni, per argomento, commemorativi, che riportano la pubblicità di un evento particolare, per città e per marca.

Il collezionismo dei sottobicchieri è aperto quindi ad innumerevoli sfumature e ad approcci diversi; come per ogni collezione, è importantissimo documentarsi, frequentando raduni collezionistici, avere rapporti di scambio con altri collezionisti e, soprattutto, privilegiare la qualità rispetto alla quantità, anche perchè una collezione “in scatola”, cosa inevitabile in presenza di molti esemplari, è un po' la morte della collezione stessa che non è più li, visibile e palpabile.

lunedì 29 agosto 2011

Il Curioso, collezionismo, mercati e mercatini

Girellando in rete mi sono imbattuta in “Il Curioso, collezionismo, mercati e mercatini”, rivista elettronica dedicata al mondo del piccolo collezionismo, dell’antiquariato minore e del modernariato, edita a cura di Nova Charta, casa di edizioni nata a Verona nel 1999 per prendere il testimone dell’esperienza editoriale di Charta, la rivista italiana punto di riferimento per i bibliofili e i librai antiquari.



Consiglio di visitare il sito a tutti colori che, come me, non possono fare a meno di considerare i mercatini locali dell’antiquariato e delle pulci un luogo d'incontro d'elezione, Il Curioso è una fonte inesauribile di notizie relativamente alle seguenti categorie:
Militaria, Mappamondi, Presse-papier, Lamette, Macchine da caffè, Occhiali, Retrocomputer, Radio, Fotografia, Figurine, Bottoni, Pubblicità, Collezionabilia, Dischi, Ricordo di un collezionista, Macinini da caffè, Merletti e ricami, Mercatando, Libri, documenti, carta, Gettoni e monete, Musei, Mostre, Giochi da Tavola, Fumetto, Profumi, Bambole, Restauro, Giocattoli e Modellismo

Per i fan dei social network è possibile seguire Il Curioso su Facebook

venerdì 26 agosto 2011

Domenica 28 agosto: appuntamenti ai mercatini del Veneto

Per chi è appassionato ecco l'elenco dei mercatini in Veneto per domenica 28 agosto 2011

Spresiano (TV) - Piazza Luciano Rigo
El Revetene: Mercatino usato e antiquariato
Informazioni: 348-8029901 Sig. Gabriel
Numero espositori: 100

Treviso (TV) - Borgo Cavour
Cose d’altri tempi
Informazioni: 0422-419195 Ass. Artig. Comm. per Borgo Cavour
Numero espositori: 120

Valeggio sul Mincio (VR) - P.za Carlo Alberto e vie adiacenti
Mercatino dell’antiquariato
Informazioni: 340-8900109 Ass. Percorsi
Numero espositori: 100

Cerea (VR) - Centro cittadino
Mercatino della Fabbrica
Informazioni: 0442-30902 La Fabbrica

Conselve (PD) - P.za XX Settembre e p.za Cesare Battisti
Conselve d’Altri Tempi: Mercatino delle cose d’alloraultima dom.
Informazioni 049-9596533 uff. Commercio
Numero espositori: 30

Piazzola sul Brenta (PD) - Logge Palladiane
Cose d’altri tempi. Mostra mercato d’antiquariato
informazioni: 329-2372475 Sig. Bison
Numero espositori: 700

Vorrei essere ovunque!

giovedì 25 agosto 2011

Ammettiamolo: fa caldo, anzi fa veramente molto caldo.

E ci sembra di sentirlo di più ogni volta che qualcuno ce lo ricorda, descrivendo  la situazione nella quale è precipitata la nostra penisola: un caldo quasi esagerato, che ci invita a bere acqua in modo abbondante e continuativo
La televisione ed i quotidiani ci martellano con servizi sulle condizioni climatiche e il conseguente rischio per la salute, informandoci dell'esistenza di un piano di prevenzione nazionale; ci descrivono in che cosa consiste un'ondata di calore e quali sono gli effetti sul nostro organismo e soprattutto quali precauzioni adottare per difendersi dal caldo: quando esporsi all’aria aperta, che cosa fare per migliorare l’ambiente domestico e di lavoro, quanto sia importante l’assunzione di liquidi, una corretta alimentazione e una idonea conservazione degli alimenti. Ci suggeriscono perfino l’abbigliamento più idoneo fino al corretto comportamento da tenere in auto.
Insomma la penisola è diventata un coro di “Antò, fa caldo” frase-tormentone di uno spot pubblicitario che andava per la maggiore qualche anno fa.



Cerchiamo almeno di “rinfrescare” il nostro cervello: un certo sollievo, letterario e lessicale, si può trovare leggendo un articolo, pertinente ed attuale, scritto da Matilde Paoli nel lontano ottobre 2007 e pubblicato sul sito dell'Accademia della Crusca, uno dei principali punti di riferimento in Italia e nel mondo per le ricerche sulla lingua italiana.


Alcuni lettori si chiedevano quali siano le espressioni “corrette” in italiano per indicare la sensazione prodotta dall’innalzamento di temperatura
A tale proposito sono stati presentati tre quesiti sulle locuzioni usate per esprimere la sensazione di caldo/freddo:
Alessandro Dagnino chiede se fa caldo e c’è caldo siano equivalenti e se la seconda espressione sia corretta in italiano quanto la prima;
Tiziana Pompa chiede se la sua opinione su mi fa caldo, considerato errato rispetto a ho/sento caldo, sia esatta;
Caterina Porcelli pone lo stesso quesito su mi fa caldo partendo però dall’espressione presente nei dizionari non mi fa né caldo né freddo.

Ed ecco la risposta:
“Per quanto riguarda il primo quesito, mentre fa caldo è impersonale, come altre espressioni riguardanti fenomeni atmosferici (è caldo, è freddo) o indicazioni temporali (è tardi, è presto), tutte regolari e corrette nell’italiano, il tipo c’è caldo ha la costruzione personale (con caldo soggetto) ed è corretta in italiano per indicare che in un dato luogo si avverte un’alta temperatura. La seconda espressione quindi corrisponde a “qui c’è caldo” in opposizione a “là c’è freddo”. Siamo sempre in un ambito d’uso comune e corrente della lingua.
Per ciò che riguarda il secondo quesito in merito alla sensazione avvertita da qualcuno, l’espressione normale (attestata in tutta la lessicografia italiana) nello stesso livello di lingua è del tipo avere, sentire caldo con il soggetto di chi prova la sensazione.
Invece mi fa caldo è costruzione di tipo regionale, più propriamente toscana, come dimostrano le non poche attestazioni facilmente reperibili. La LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli in Cd-Rom ed. 2001) ne riporta di epoca rinascimentale: due del senese Pietro Fortini (1500 c.-1562) ne Le giornate delle novelle dei novizi (Novella 34.49 : “ ... e te ne va' in cucina e se ti fa freddo accende del fuoco“ e Novella 47.54: “Spogliatevi e intrate nel letto perché a ogni modo vi fa freddo”) e una del fiorentino Anton Francesco Grazzini (1540-1584) ne L'Arzigogolo (At.1, sc.1.20: “Venite al fuoco, se e' vi fa fresco: è mala cosa patire freddo, sapete?”). In epoca più tarda sempre la LIZ testimonia l’uso di Pascoli nei Canti di Castelvecchio (17 Il ciocco, 1.211: “ch'è cicchin cicchino,/ e dorme, e gli fa freddo e gli fa caldo.”).
Quest’ultimo contesto, per quanto brevissimo, dichiara in quel cicchino ‘piccolo’ tutta la propensione del suo autore per le parole di Toscana (e se piace approfondire l’argomento si legga il saggio di Teresa Poggi Salani Verso la lingua poetica del Pascoli nella sua raccolta Sul crinale Tra lingua e letteratura Saggi otto-novecenteschi, Verona, Cesati 2000).
Infine, il costrutto non fare né caldo né freddo (a qualcuno) ripetutamente testimoniato dalla lessicografia italiana, ha una costruzione personale e richiede anche l’indicazione del “paziente”: è un modo di dire particolare, residuo dell’uso regionale del tipo mi fa caldo sopra indicato, ed è ormai limitato al senso figurato (nel significato di ‘mi lascia indifferente’). La sua origine toscana pare confermata anche dalla sua presenza nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze”

E adesso mi lancio anch'io in un consiglio: “zero bottiglie di the freddo nel frigo”

mercoledì 17 agosto 2011

Ci ha lasciato l'inventore dell'ipertesto.

Si sa che oggi stiamo dando molte cose per scontate: siamo abituati a frequentare la rete, usiamo il pc per scrivere mail e documenti di testo, condividiamo foto ed immagini, ci picchiamo di essere un po' anche pubblicisti dato che “curiamo” un nostro blog.
Ecco, oggi vi chiedo di fare un attimo di pausa per ricordare insieme padre Roberto Busa, gesuita e scienziato originario di Vicenza, linguista e pioniere informatico, perchè è a lui che dobbiamo l'invenzione dell'ipertesto, quell'insieme di documenti messi in relazione tra loro tramite parole chiave.
La caratteristica principale di un ipertesto è che la lettura può svolgersi in maniera non lineare: di fatto qualsiasi documento della rete può essere "il successivo", in base alla scelta del lettore di quale parola chiave usare come collegamento. È possibile, infatti, leggere all'interno di un ipertesto tutti i documenti collegati dalla medesima parola chiave. La scelta di una parola chiave diversa porta all'apertura di un documento diverso: all'interno dell'ipertesto sono possibili praticamente infiniti percorsi di lettura.


L'Osservatore romano rende omaggio a Padre Busa ricostruendo l'invenzione dell'ipertesto per internet, anticipata dal gesuita una quindicina di anni prima degli studiosi statunitensi, e il rapporto di Busa con il fondatore dell'Ibm Thomas Watson, che finanziò il suo "Index Tomisticus", al quale il religioso ha lavorato per 40 anni.
Nel 1949 "il gesuita s'era messo in testa di analizzare l'opera omnia di san Tommaso: un milione e mezzo di righe, nove milioni di parole (contro le appena centomila della Divina Commedia). Aveva già compilato a mano diecimila schede solo per inventariare la preposizione "in", che egli giudicava portante dal punto di vista filosofico. Cercava, senza trovarlo, un modo per mettere in connessione i singoli frammenti del pensiero dell'Aquinate e per confrontarli con altre fonti. In viaggio negli Stati Uniti, padre Busa chiese udienza a Thomas Watson, fondatore dell'Ibm. Il magnate lo ricevette nel suo ufficio di New York. Nell'ascoltare la richiesta del sacerdote italiano, scosse la testa: "Non è possibile far eseguire alle macchine quello che mi sta chiedendo. Lei pretende d'essere più americano di noi".

Padre Busa allora estrasse dalla tasca un cartellino trovato su una scrivania, recante il motto della multinazionale coniato dal boss - Think, pensa - e la frase "Il difficile lo facciamo subito, l'impossibile richiede un po' più di tempo". Lo restituì a Watson con un moto di delusione. Il presidente dell'Ibm, punto sul vivo, ribatté: «E va bene, padre. Ci proveremo. Ma a una condizione: mi prometta che lei non cambierà Ibm, acronimo di International business machines, in International Busa machines». «È da questa sfida fra due geni - ricorda l'Osservatore romano - che nacque l'ipertesto, quell'insieme strutturato di informazioni unite fra loro da collegamenti dinamici consultabili sul computer con un colpo di mouse», che l'americano Ted Nelson definì soltanto nel 1965.

Secondo di cinque figli di un capostazione, padre Busa era nato a Vicenza il 28 novembre 1913, a 16 anni era entrato nel seminario di Belluno dove aveva fatto amicizia con Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I. È stato tra i pionieri dell'uso dell'informatica per l'analisi del testo, la lessicografia e la ricerca bibliografica. Grazie all'opera da lui iniziata, la lessicografia e l'ermeneutica testuale ricevono un contributo decisivo dall'informatica linguistica. Padre Busa ha fondato nel 1992 la Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica, costituita all'interno della facoltà di filosofia della Pontificia Università Gregoriana.
Tra i libri più recenti "Rovesciando Babele ossia tornare alle radici d'ogni lingua" e "Quodlibet, briciole del Mio Mulino" forse l'opera più aperta e pubblica dello scienziato.

martedì 16 agosto 2011

In casa c'è un clandestino, anzi una clandestina

Di ritorno delle vacanze in Toscana, Regione che amo più di ogni altra, quest'anno non ho potuto fare a meno di inguaiarmi un altro po' e mi sono lasciata sedurre da una cucciola abituata solo all'odore dei cinghiali e della mamma, una vera e propria Pajar Dog, razza tipica di alcune zone della Maremma.
Eccola qui, gran frignona, timidissima e pisciona, accanto al mio cucciolo!


martedì 2 agosto 2011

Quando un colore non è un colore

Ammetto che in questi giorni la frenesia di voler fare a tutti i costi mi ha abbandonato. Sono stata contagiata da una insana voglia di non fare, di appisolarmi beatamente dimenticando qualsiasi impegno: mi piace lasciar libera la mente, assopirmi al rumore del mare o al ronzio delle api, bearmi del sole sul viso, chiudere gli occhi ed immaginare, vedere nella mia mente i colori dell'arcobaleno. I colori!! Che meraviglia: ognuno ha una sua caratteristica, una vita propria e quando lo si sceglie per indossarlo, in qualche modo, parla di noi.
Gli stilisti, anche questa estate, ci propongono una infinità di colori da indossare, ma solo uno è la somma di tutti ed il loro stesso annullamento: il bianco.
Cultrice come sono del “tutto nero” sono fortemente convinta che il bianco totale ci regali un allure unica, chic, distaccata, dato che è una costante degli stilisti:
Negli anni '20 il total white di Coco Chanel fece del bianco il simbolo dell'eleganza per eccellenza;
Negli anni '50, grazie a miti del calibro di James Dean e Marlon Brando, la tshirt bianca divenne per i giovani il simbolo della ribellione;
Negli anni '60 il bianco divenne simbolo della moda futurista;
Negli anni 70 migrò nello spirito hippy della generazione dei figli dei fiori.
Dopo un decennio pieno tinte molto accese, gli anni 90 segnarono il ritorno del bianco in una versione minimale con semplici t-shirt abbinate a jeans consunti.
Ora è riproposto in due versioni: una elegante e sofisticata,con capi spesso in lino, che predilige linee minimaliste ed una più romantica che abbonda di pizzi, merletti, passamanerie e ricami, riportandoci indietro nel tempo.
Il bianco, insomma, si riconferma il colore assoluto per natura, perfetto per illuminare la bella stagione e regalare a noi e alla nostra casa un aspetto stupendo, come testimonia la splendida tavolata a casa di Rachel Ashwell.